Claudio, autista di scuolabus del Cerchio, “Cuore e cervello per accompagnare i più piccoli”
“Non si tratta solo di trasportare bambini, ma di accompagnarli…”. E’ questo il ruolo di un autista di scuolabus secondo Claudio Ballabeni, che ha trovato lavoro presso l’Istituto Comprensivo G. Marconi a Rivarolo del Re (CR) grazie alla coop socia il Cerchio. Svolge la professione da 4 anni e gli sono state affidate infanzia, primaria e secondaria, quindi una fascia dai 3 ai 13 anni. Una figura che negli anni, soprattutto dopo la pandemia, è diventata sempre più fondamentale. Il trasporto scolastico integrato con i servizi di pre-scuola e dopo scuola è un elemento prezioso per le famiglie che devono conciliare gli orari di lavoro con la gestione dei figli.
Com’è essere un autista di scuolabus? “Sono la prima figura adulta che bambini e ragazzi incontrano nella loro giornata scolastica. Sono parte della scuola, ma non del tutto. La loro spontaneità mi affascina e mi diverte”. Stimoli, dunque, ma anche qualche criticità. Lavorare costantemente in contatto con bambini e ragazzi diventa una missione: essere per loro un esempio, senza farsi prevaricare. “E’ sempre necessario stare all’erta. Non puoi mai sottovalutare pericoli o situazioni. L’imprevisto non esiste, devi prevedere tutto e farti trovare pronto nel momento del bisogno”, ci dice Claudio.
Ma può capitare che la situazione si ribalti e ad essere pronto nel momento giusto sia un bambino. “Durante un servizio pomeridiano per la scuola primaria, non ero in forma. Ero stanco e nervoso, con il mal di testa. – racconta Claudio – Uno dei bambini si è avvicinato, mi ha offerto un po’ d’acqua dalla sua bottiglietta ed è rimasto accanto a me fino alla fine del viaggio, chiacchierando. E’ diventato il mio beniamino: non un “utente” da trasportare, ma un compagno di viaggio”.
Non è un lavoro per tutti. “Puoi avere la patente D per guidare l’autobus, ma non essere tagliato per il mestiere. Ci vuole cuore prima e cervello poi”, conclude l’autista rimettendosi in viaggio.