
Etnopsichiatria, Spinogatti: “Lavoriamo insieme per un nuovo modello di servizio: radicato, competente e in rete”
“Guardi, di storie ce ne sono tante e importanti, anche di successo. Sicuramente i percorsi che hanno funzionato sono stati quelli in cui non solo siamo riusciti a fare star meglio le persone dal punto di vista delle cure, ma a fare acquisire loro un ruolo nella società. E questo vale per tutti, indipendentemente dalla provenienza…”. Franco Spinogatti è direttore dell’Unità operativa di Psichiatria dell’Asst di Cremona. Insieme allo psichiatra e psicoterapeuta Salvatore Inglese e al responsabile di Psichiatria Alto Mantova dell’Asst di Mantova Giulio De Nicola, sarà protagonista dell’incontro sull’etnopsichiatria che si terrà on-line martedì 15 dicembre dalle ore 9.30 all’interno del progetto “Fami Care”, finanziato dal Fondo asilo e migrazione e dedicato ad interventi di cura in rete per migranti vulnerabili (clicca qui per avere più informazioni). Un progetto che coinvolge 3 territori (Cremona, Mantova e Brescia) e 3 comuni, 4 Asst, 3 consorzi (tra cui il nostro). “Si tratta di un progetto grande che coinvolge tanti soggetti – spiega Spinogatti – Questo perché la risposta ai problemi legati all’etnopsichiatria non è solo una risposta sanitaria, ma anche sociale e del terzo settore e perché le problematiche delle persone che vengono da altri contesti culturali non sono riconducibili ad un solo ambito e necessitano di percorsi integrati”.
I numeri del fenomeno sono rilevanti. “Nel 2018 – dice il direttore di Psichiatria di Cremona – abbiamo avuto 445 utenti provenienti da altri paesi, il 14%. Una percentuale che è arrivata fino al 22% se consideriamo i ricoveri nel reparto psichiatrico. Sono state 45 le nazionalità interessate, segno di una multiculturalità significativa. Se a questi numeri affianchiamo anche quelli legati alle tossicodipendenze (nel 2018 il 22% degli utenti proveniva da altri paesi) capiamo che il fenomeno è importante e complesso”. I traumi con cui i servizi sono entrati in contatto sono tanti e variegati. “Molto dipende dalla motivazione per la quale le persone lasciano il proprio paese e da cosa è successo durante il percorso migratorio – continua Spinogatti – In generale, comunque, il migrante è più vulnerabile: la nostalgia è la malattia del migrante. Poi, accanto ai traumi c’è spesso, all’arrivo, una condizione di inattività, di attesa infinita che non aiuta”. Anche i sintomi sono differenti: si va da disturbi mentali gravi, ad ansia e depressione, a disturbi post traumatici. “E non c’è una cura che va bene per tutti…”, specifica il direttore.
Questa la fotografia, il progetto, dunque, che obiettivo si pone? “Vogliamo costruire un modello di servizio culturalmente competente – spiega Spinogatti – Gli accessi all’ospedale, ovvero quando le persone sono interessate da crisi o scompensi, sono superiori agli accessi ai servizi territoriali, questo vuol dire che non sono riuscite ad avere un supporto prima. Occorre un servizio radicato nel contesto territoriale, con competenze e conoscenze e organizzato come una rete con tutti i soggetti che si occupano di migranti”.
Tre sono i punti su cui il progetto è costruito. “La formazione degli operatori, anche se a Cremona c’è già una buona preparazione frutto di un’ottima esperienza sul campo – continua il direttore di Psichiatria -; il collegamento con le comunità locali che si traduce nella figura del ‘facilitatore sociale’, un operatore di supporto alle cure che può monitorare la situazione; la costruzione di progetti individualizzati a partire dalle risorse e dai bisogni delle persone e condivisi con le persone per una corresponsabilità”.
“Ci teniamo davvero tanto a questo progetto – conclude Spinogatti – I numeri ci dicono che dobbiamo attrezzarci. Lavoriamo insieme, come rete, per creare un nuovo modello organizzativo di servizio“.
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