
Il Consorzio lavora alla fase 3: servizi in presenza ripensati e comunità più protagonista
Abbiamo appena iniziato la fase 2 e il Consorzio Solco sta già lavorando alla fase successiva, la cosiddetta fase 3. “Noi non ci siamo mai fermati, anzi…”, dice la Presidente del Consorzio Sol.co Giusi Biaggi e racconta l’attività in atto per continuare a dare risposte ai cittadini più fragili, per ripensare i servizi in presenza, per ricostruire un sistema basato di più sul protagonismo della comunità. Perché nella fase transitoria va bene, dove possibile, l’attività a distanza, ma poi occorre costruire una nuova presenza per non “perdere quella dimensione di socialità che costituisce l’anima dei nostri servizi”. E perché la pro-attività di ciascuno per il perseguimento del bene personale, familiare e comunitario è la vera leva per un nuovo sviluppo.
Partiamo dalla cosiddetta fase 2 iniziata il 4 maggio. C’è una fase 2 anche per il Consorzio Solco?
“Il Consorzio e le cooperative non si sono mail fermate, anzi…”.
Quali servizi avete messo in campo in questa emergenza?
“Fin dal 21 febbraio abbiamo dovuto ridisegnare il nostro modo di lavorare, per riuscire a garantire, in sicurezza, le risposte ai bisogni delle persone, sia quelle “costrette” a casa loro, sia quelle che ci sono affidate: nelle comunità, negli appartamenti protetti, nei servizi residenziali sanitari e socio-sanitari. Vi è stato un grande sforzo per garantire servizi e prodotti di qualità al domicilio come i pasti, la frutta e verdura, gli alimenti, i farmaci, l’abbigliamento, ma anche le cure infermieristiche, l’igiene, la relazione educativa. La tecnologia ci è sicuramente stata di grande aiuto per il mantenimento della relazione, il supporto psicologico, la raccolta dei bisogni, la costruzione di nuove risposte”.
A proposito di bisogni, sono cambiati e/o cresciuti?
“Fin dai primi giorni abbiamo capito che all’emergenza sanitaria, che ha costretto gli ospedali e tutto il personale impegnato a far fronte ad uno sforzo enorme, avrebbe fatto seguito l’emergenza sociale e territoriale. Anziani soli, famiglie con carichi educativi ed assistenziali importanti, persone fragili che facevano fatica a capire le prescrizioni che mano a mano venivano imposte, nuclei già in crisi relazionale costretti a convivere e a gestire forti conflittualità, persone ferite dal lutto e dalla malattia impossibilitate a condividere con la comunità questa sofferenza. E una menzione particolare va ai minori che hanno dovuto rinunciare alla ricchezza delle relazioni educative in presenza (insegnanti, allenatori, catechisti, ecc.) e alla compagnia degli amici”.
Occorre un ripensamento del welfare: andiamo verso un welfare sempre più a domicilio?
“Credo che, per un certo periodo, il mantenimento di molte attività a domicilio sarà necessario. Ma siamo convinti che questo non sia sufficiente. Stiamo lavorando da tempo per progettare la ripartenza dei servizi in presenza per non perdere quella dimensione di socialità che costituisce l’anima dei nostri servizi. Per noi la personalizzazione dei servizi è sempre andata a braccetto con la dimensione relazionale e sociale, mai una individualizzazione fine a se stessa. Stiamo ragionando di attività in micro gruppo, di spazi più ampi, di attività all’aperto”.
Quali sono i cittadini e i servizi più a rischio?
“Tutti i servizi sono a rischio ed è necessario riprogettarli e realizzarli garantendo il massimo della protezione per gli operatori e per i beneficiari. Le categorie più a rischio sono quelle indicate dagli esperti: anziani e persone con precedenti patologie. Ma, lo stiamo imparando in queste settimana, ognuno di noi può essere veicolo di trasmissione. Pertanto ci prepariamo a ritornare in presenza, attrezzandoci per proteggere noi stessi e gli altri dal virus, nel rispetto dei tempi che verranno dettati dalle istituzioni competenti”.
In questa emergenza anche il volontariato è stato protagonista…
“Sì, le associazioni sono state davvero esemplari. E anche tanti cittadini che, pur non essendo precedentemente legati ad associazioni costituite, hanno dato individualmente la loro disponibilità. Ci sono state molte iniziative di solidarietà che i cittadini hanno realizzato. La speranza più grande è che rimanga acceso questo desiderio di partecipare alla costruzione di bene comune, nelle forme e nei modi che riusciremo a trovare anche in epoca di “normalità”. Credo che uno dei nostri compiti sarà proprio questo: non disperdere il desiderio di bene e di partecipazione che i cittadini hanno saputo dimostrare”.
Qualche esempio positivo?
“Ne cito due perché sono quelli che ho avuto modo di “toccare con mano” in maniera diretta. I giovani della associazione Drum Bun che, tra le altre cose, stanno supportando le consegne a domicilio di frutta e verdura di Rigenera, esperienza di agricoltura biologica e sociale delle cooperativa Nazareth. E i ragazzi dell’associazione Amici di Robi che fin dal primo giorno si sono messi a disposizione per le consegne a domicilio dei pasti per gli anziani preparati dal Bon Bistrot gestito dalla cooperativa Varietà. Abbiamo potuto sperimentare nuovamente che insieme siamo più capaci di rispondere ai bisogni del territorio”.
Un tema su cui il Consorzio lavora è il welfare aziendale. In queste condizioni quanto le aziende investiranno nel benessere dei lavoratori?
“Indubbiamente la situazione economico-finanziaria è critica per la quasi totalità del mondo imprenditoriale, sia per coloro che producono beni che per gli erogatori di servizi. Credo però che questo periodo di crisi abbia fatto emergere chiaramente la necessità di ridefinire le priorità in chiave di ripresa e di sviluppo: la conciliazione vita e lavoro, lo smart working, la salute e il benessere socio-relazionale anche in chiave di aumento della produttività, l’importanza del supporto ai familiari minorenni, disabili, anziani o non autosufficienti, la sostenibilità. Certamente temi cari alle imprese che, in tempi non sospetti, hanno avviato piani di welfare aziendale. L’ulteriore sottolineatura che emerge è che, per ripartire, serve il concorso di tutte le forze, pubbliche e private. Per cui, ancora di più, è da promuovere il superamento di forme settoriali di cura della persona, riassumibili in servizi pubblici sociali, socio sanitari, sanitari, piani di welfare aziendale, sistema della domanda pagante dei privati cittadini, per andare verso un welfare di comunità capace di integrare le forze”.
Altra questione fondamentale è quella del lavoro..
“Dobbiamo lavorare affinché ad una emergenza non se ne sommi un’altra: prima l’emergenza sanitaria e poi il crollo dell’occupazione. Se nella prima fase della crisi è comprensibile ed auspicabile che si attuino forme “passive” di assistenza (cassa integrazione, buoni spesa, ecc.) è necessario che nelle fasi successive si valorizzi e si premi il più possibile il protagonismo delle comunità, in primis il mondo imprenditoriale e i singoli cittadini. La pro-attività di ciascuno per il perseguimento del bene personale, familiare e comunitario è la vera leva per un nuovo sviluppo. E in tutto questo il lavoro è centrale: va incentivato e benedetto! E dove, a causa della crisi, il lavoro si è perso, bisognerà ricrearlo con determinazione, audacia e fantasia“.
Il Consorzio Solco partecipa al progetto socio-sanitario Cremona Welfare, come avete vissuto questa fase e quali sono le prospettive?
“La fase uno è stata decisamente caratterizzata dalla prudenza: il punto prelievi dell’Asst di Cremona che gestiamo presso il Civico 81 è stato chiuso per ordinanza da fine febbraio. Le prestazioni specialistiche che normalmente eroghiamo non sono state considerate urgenti e indifferibili e pertanto, prudenzialmente, abbiamo preferito rimanere fermi. Ora stiamo progettando la riapertura, con tutte le cautele del caso ma anche con la convinzione che sia quantomai utile tornare ad offrire i nostri servizi alla comunità e continuare a lavorare per mettere a disposizione cure di qualità a prezzi accessibili”.
Il Consorzio gestisce camping e Colonie Padane…
“In questi mesi siamo stati necessariamente fermi. Ma il parco Colonie adesso è accessibile e da sabato riaprirà il bar in modalità take away. Siamo pronti a ripartire – quando si potrà – anche con le attività e il campeggio, valorizzando soprattutto la possibilità di tornare gradualmente a realizzare esperienze di svago e di socialità all’aperto. Stando all’aria aperta si ridurranno le occasioni di contagio e si riscopriranno le opportunità e le bellezze naturali che il nostro Lungo Po offre”.
Il coronavirus rischia di mettere da parte alcune questioni per esempio quella dell’accoglienza?
“C’è un sistema d’accoglienza che non si è mai fermato grazie al lavoro del pubblico e del privato sociale. I migranti, come tutti noi, hanno il desiderio di migliorare le loro condizioni di vita e il lavoro che i nostri operatori realizzano con le persone in accoglienza è finalizzato a far apprendere nuove competenze, offrire opportunità in ambito lavorativo e relazionale, generare nuove autonomie affinché ciascuno possa camminare con le proprie gambe e contribuire al bene comune. È chiaro che il momento è difficile per tutti … figuriamoci per le fasce più fragili della popolazione (cui anche i migranti appartengono). Per questo il nostro impegno sarà crescente proprio per chi fa più fatica nella speranza che anche i più fragili possano offrire il proprio contributo per la ripartenza. Questo atteggiamento sta nel dna di chi come noi è cooperatore sociale”.
Ci sono misure di sostegno per le imprese sociali e le organizzazione del terzo settore, anche in termini di liquidità, di personale, di contratti?
“Ci sono dichiarazione di intenti e l’avvio di tavoli di lavoro che hanno l’obiettivo di riprogettare gli interventi sociali, socio-sanitari, sanitari alla luce di quanto sta accadendo. Come tutte le imprese abbiamo avuto la possibilità di accedere alla cassa integrazione e alle misure finalizzate ad aumentare la liquidità a disposizione. Vista la grande richiesta da parte di molti, sappiamo che le tempistiche saranno lunghe e tutto questo aumenterà la sofferenza finanziaria delle nostre cooperative. Per alcune imprese sociali (specialmente quelle che hanno differenziato poco il loro ambito d’azione e che operano nell’ambito dei servizi “sospesi per ordinanza”) la situazione è davvero preoccupante. Auspichiamo che l’intento politico dichiarato sia dalle istituzioni europee che quelle nazionali e locali (“non perdere nemmeno un posto di lavoro”) non venga vanificato dai tempi troppo dilatati degli interventi che per alcune imprese potrebbero essere fatali”. È necessario rimettere al centro la consapevolezza che la cooperazione sociale opera, al pari dello Stato, per perseguire l’interesse generale. Pertanto in questa fase più che mai dev’essere messa nelle condizioni di agire il proprio ruolo e divenire leva per un nuovo sviluppo.
Occorre un ripensamento anche in termini di progettazione e rapporto con il pubblico?
“Ci stiamo lavorando e devo dire che c’è grande disponibilità a riprogettare insieme il lavoro da parte di molte amministrazioni locali, anche di colori politici diversi. Questo credo sia un ottimo segnale che rimette al centro il senso di ciò che facciamo: essere al servizio della comunità e operare affinché nessuno venga escluso. Credo molto nell’integrazione tra pubblico e privato e sono certa che se perseguiremo la prospettiva del welfare integrato di comunità, non faremo che apportare benefici per l’intero sistema territoriale”.